Ultimo aggiornamento: 25 maggio 2021
Scheda a cura di: Garzaniti M.
La monografia
introduttiva, che non appare aggiornata rispetto alla precedente
edizione, si articola ora in cinque capitoli. Il primo, che prima
costituiva l’introduzione, ripercorre a grande linee la storia
degli studi “nello specchio della scienza patria e straniera”. Si
comincia dagli inizi del XIX sec., con il circolo raccolto intorno a
N.P. Rumjancev, fino alla grande stagione degli studi ottocenteschi,
pubblicati soprattutto nel Pravoslavnyj Palestinskij sbornik,
passando poi all’epoca sovietica, che rappresenta una “nuova
tappa” nella storia degli studi (sic!). La ricerca contemporanea si
sarebbe concentrata soprattutto sull’Itinerario dell’egumeno
Daniil (1106-1108) e sul Viaggio di Afanasij e più in
generale sulla storia internazionale. All’estero emergono, a suo
parere, soprattutto gli studi di K.D. Seemann (definito ancora
“tedesco occidentale”!) e di G. Majeska, di cui comunque si
sottolineano i limiti.
Criticando
il precedente approccio letterario e storico religioso, dominante a
partire dall’Ottocento, Maleto vuole offrire una nuova prospettiva
nello studio di questi importanti documenti, che definisce “approccio
complesso” (kompleksnyj podchod), con un termine assai di
moda in Russia, legato a una serie di congressi e a una nuova
interessante rivista Drevnjaja Rus’, un approccio
interdisciplinare che va dalla geografia storica alla metrologia,
dalla storia sociale alla storia della mentalità (mentalnost’
in russo).
Nel
secondo capitolo si presentano i dodici testi esaminati, riproponendo
in modo più ampio, opera per opera, la storia degli studi già
tratteggiata (si vede quanto sia stato utile lo Slovar’
knižnikov e knižnosti), ma con alcune osservazioni di carattere
generale assai discutibili. Per esempio la distinzione nella
descrizione del viaggio fra principio spaziale e temporale, che
dividerebbe i racconti di pellegrinaggio dai viaggi “laici” con
finalità diplomatica o commerciale (p.27). Rimane fondamentale,
anche qui come in tutta la storiografia sovietica, l’ansia di
ritrovare una motivazione extrareligiosa ai viaggi descritti, sia
diplomatica, sia commerciale, che amplifichi il valore storico dei
documenti presi in esame. Alla fine, come indica una tabella alla
fine del capitolo (pp.74-75), la motivazione esclusivamente religiosa
diventa una vera rarità. L’Itinerario di Ignatij di
Smolensk (1389) sarebbe il primo “viaggio laico, libero da motivi
biblico-apocrifi”. E questo soprattutto per la presenza della
descrizione dell’incoronazione dell’imperatore bizantino, nulla
di più sacro se si considera la tradizione bizantina. Alla fine del
capitolo si aggiunge una riflessione sulla testimonianza degli
annali, che tramanda i medesimi testi e che andrebbe analizzata
insieme ad essi.
Nel
terzo capitolo si ricostruiscono nel modo più tradizionale possibile
i “rapporti internazionali della Rus’” come emergerebbero alla
luce delle testimonianze dei pellegrini e viaggiatori. Naturalmente
anche qui si sottolinea che non si tratta quasi mai di “semplici
pellegrini”, ma di rappresentanti ufficiali, di esponenti
“grecofili” in opposizione a “slavofili”. Laddove e raramente
si giunge per pellegrinare nei luoghi santi, ci si appresta a
operazioni diremmo commerciali, come la composizione di una guida,
magari sul modello greco. Peccato che la studiosa non citi l’unico
volume uscito in questi anni sull’argomento (A. Külzer,
Peregrinatio graeca in Terram Sanctam. Studien zu Pilgerführern und
Reisebeschreibungen über Syrien, Palästina und den Sinai aus
byzantinischer und metabyzantinischer Zeit,
Frankfurt a. M., Berlin, Bern, N.Y., Paris, Wien 1994). Quando si
parla di missioni diplomatiche o di rapporti commerciali Maleto si
trova a suo agio. Ve ne sarebbero tutte le ragioni in particolare
parlando del Viaggio
al Concilio di Firenze,
ma la riflessione storica non trova appigli nel testo, che così
rimane nell’ombra. Eppure questo Viaggio,
anche se in modo indiretto, come abbiamo dimostrato, evoca in modo
straordinario le profonde trasformazioni del tempo (M. Garzaniti, Il
viaggio al Concilio di Firenze. La prima testimonianza di un
viaggiatore russo in Occidente,
in Itineraria
2, 2003, pp.173-199).
In realtà l’attenzione
di Maleto si concentra soprattutto su un altro aspetto, sulla
ricostruzione degli itinerari alla luce delle vie di collegamento sia
con l’oriente mediterraneo, sia con l’Occidente, per poi
diffondersi sulle unità di misura (con accenni anche al sistema
monetario). Non possiamo soffermarci nei particolari, ma ci limitiamo
a qualche osservazione. Considerando le vie di collegamento per
terra, per fiume e per mare l’autrice si limita alla ricostruzione
storica, senza percepire quelle differenze che segnano invece i
racconti di pellegrinaggio e di viaggio dal XIV-XV sec. con
l’affermazione progressiva della Moscovia. Maleto non si accorge
che la presenza di una descrizione degli itinerari interni alla
Moscovia e alla Rus’ risponde proprio al processo di formazione
dello stato russo. Determinati itinerari, inoltre, non sono affatto
casuali, come sembra intendere Maleto, ma sono conseguenza di eventi
storici. Si pensi, per esempio, all’itinerario della delegazione
russa al Concilio di Ferrara e Firenze, che non potè passare per il
principato lituano e il regno di Polonia proprio per l’ostilità
degli Jagelloni, ma dovette attraversare la Germania, inaugurando una
via per l’Occidente divenuta poi tradizionale.
Partendo
dai dati offerti sia da M. A.Venevitinov, che aveva studiato a fondo
l’Itinerario di Daniil, Maleto presenta le varie unità di
misura usate, poi riportate in una tabella finale (p.389). Si
osservano comunque delle contraddizioni: nella tabella finale la
versta è uguale a 1066 m., nella ricostruzione delle distanze del
metropolita Isidoro si indica l’equivalenza di 2,16 km.
(pp.119-120). La studiosa, infatti, nello schema finale riassuntivo,
come d’altronde nel testo, non ha sottolineato a sufficienza la
complessità del sistema di misure del mondo slavo-orientale, che
variava da area a area e che per i viaggi all’estero era
influenzato profondamente dai sistemi di misura stranieri. Gli stessi
testi ci vengono in aiuto indicando le equivalenze delle nuove
misure, come abbiamo avuto modo di osservare in un recente articolo
(Viaggiare nel medioevo russo. Appunti sul lessico di viaggio
slavo-orientale, in “Quaderni del Dipartimento di Linguistica -
Università di Firenze” 2006, in stampa). Partendo da Majeska, ma
facendo riferimento anche alla tradizione annalistica, Maleto
analizza poi i mezzi di trasporto usato e ricostruisce la velocità
del percorso. I diversi itinerari sono illustrati graficamente alla
fine, ma senza lo sfondo della cartina geografica (sic!), se si
esclude il Viaggio di Afanasij Nikitin (pp.393-398).
Ciò
che manca, in questo capitolo e in tutto il volume, è la percezione
della valenza simbolica della descrizione dello spazio in questi
racconti (e non solo in quelli di pellegrinaggio): la misurazione
mostrava un mondo di simmetrie, che rivelava la potenza del creatore
e allo stesso tempo la perfezione geometrica, con cui doveva essere
costruito il santuario e in genere quanto esso contenuto. L’autrice
percepisce l’esistenza di questo complesso simbolismo, come
dimostra l’inizio del quinto capitolo, ma non ha gli strumenti per
analizzarlo. Si ferma a qualche vago riferimento alla letteratura
medievistica, si limita a indicare il ruolo importante delle
leggende, senza neppure citare le sacre scritture, accenna a
proposito di Afanasij Nikitin alla rottura del sistema utopico della
geografia medievale, ma non va oltre. La sua acribia anche
nell’ultimo capitolo continua ad esercitarsi nella dissezione dei
diversi racconti, fissando alcune categorie di dati. Questa volta
Maleto, con il piglio dell’antropologo, si concentra sulla
descrizione della natura e le indicazioni climatiche, sulla
rappresentazione dello straniero e infine sulle curiosità (sic!) e
le reliquie, che hanno attirato l’attenzione dei viaggiatori. E’
veramente deplorevole, dopo tanti studi in Occidente, ma ora anche in
Russia (si vedano per esempio gli studi di A. Lidov) trattare a
questo livello le reliquie e i santuari.
Rimane
così del tutto estranea al saggio, ci pare, la comprensione del Sitz
im Leben, che Seemann aveva cominciato a definire, rimane del
tutto estranea la percezione dell’elevato tasso di letterarietà di
queste opere, che riflettono l’immaginario collettivo medievale,
profondamernte ancorato a una ben determinata concezione del mondo.
Certamente vengono raccolti molti dati, ma secondo categorie che
spesso ci impediscono la comprensione della fonte, perché sradicati
dal loro contesto. Perché per esempio nella descrizione della Terra
santa o di Costantinopoli si seguivano determinati itinerari? Perché
incontriamo la descrizione delle dodici chiese che si visitavano
salendo al Sinai? Perché nel suo racconto sull’India Afanasij
Nikitin fa riferimento alla statua di Giustiniano nel foro di
Costantinopoli? Solo per fare qualche domanda sulla base dei dati
offerti dalla ricerca. Ma molte altre ve ne sarebbero, che neppure
emergono nella riflessione di Maleto.
Questa
assenza di sensibilità per le fonti si manifesta pienamente nella
parte antologica, che si limita a ricopiare i testi analizzati,
spesso da edizioni antiche o da volumi per lo più ancora disponibili
con brevi postfazioni e qualche nota esplicativa. Ancora più stupore
ci provoca l’inserimento di diversi testi, che non erano stati
analizzati nel saggio introduttivo. La Vita di Evfrosinija di
Polock, il Racconto sulle porte di ferro e la Descrizione
di Derbent e Shirvan. L’autrice nemmeno osserva che questi
ultime due brevi descrizioni presentano, pur in forme diverse, il
medesimo testo. D’altra parte anche per altri testi si offre una
doppia edizione (sic!), per esempio per il Pellegrino di Stefan di
Novgorod (1348-1349). Segue una sezione in cui oltre agli estratti
della Cronaca degli anni passati sull’apostolo Andrea e sul
viaggio della principessa Ol’ga a Costantinopoli, vi sono anche
l’Itinerario della Madre di Dio fra le pene dell’inferno e
il famoso episodio della Vita di Ioann di Novgorod, in cui si
racconta del suo viaggio a Gerusalemme in groppa al diavolo.
Soprattutto questi ultimi due, il primo proveniente dalla letteratura
apocrifa di origine balcanica e il secondo, che rappresenta una delle
più interessanti testimonianze della letteratura demonologia del
medioevo russo, avrebbero meritato almeno una spiegazione. Ma si
sarebbe dovuto mettere mano radicalmente alla prima parte che invece
è rimasta la medesima.
Anche
se nella bibliografia vengono citati alcuni lavori, per esempio
l’edizione di J. Krajcar sul Viaggio al Concilio di Firenze,
si ha l’impressione che con l’eccezione del saggio di Majeska,
quanto citato non sia stato letto. Fra l’altro varrebbe la pena di
ricordare che l’ottima dissertazione citata The
making of the Medieval Russian journey
(Diss. University of Michigan 1978), che appare sotto il nome di G.L.
Vroon (sic!), non è altro che il primo lavoro di Gail Diane Lenhoff,
a tutt’oggi una delle migliori specialiste di letteratura medievale
russa. Purtroppo il saggio rimane concentrato sulla
“letteratura patria”, con quell’afflato retorico “grande
russo”, che nuoce alla ricostruzione della cultura degli slavi
orientali. D’altra parte sembra che altrove non si faccia meglio.
Se consideriamo il saggio dell’ucraino P. Bilous (Palomnyc’kyj
žanr v istoriï ukraïns’koï literatury, Žitomir 1997) e del
bielorusso S. Garanin (Šljachami daunich vandravannjau,
Minsk 1999) osserviamo la medesima impostazione nazionale, pur da un
diverso punto di vista. Almeno per Garanin dobbiamo però almeno
sottolineare lo sforzo di offrire nuove edizioni per i racconti di
viaggio “bielorussi”.
Non ci soffermiamo
neppure sugli errori e le sviste nella bibliografia se non per citare
qualcosa che ci riguarda. L’unico nostro articolo citato, uno dei
miei primi in italiano (1985), di cui non si cita la più recente e
del tutto rielaborata versione russa (“Choženie” igumena
Daniila v Svjatuju zemlju. Literatura i bogoslovie na Rusi XII veka,
in “Slavjanovedenie” 2, 1995, pp.22-37), pur citato correttamente
in una nota insieme al saggio V. Vodoff, nella bibliografia finale si
è inspiegabilmente fuso con l’indicazione bibliografica dello
studioso francese, rendendo incomprensibile il rimando.
Si
deve così tristemente concludere che lo studio di Maleto rivela non
solo incongruenze e contraddizioni, ma un approccio assai limitato
alla materia. Si tratta dunque di un’occasione mancata di offrire
un’introduzione a una letteratura di grande importanza nella storia
della cultura medievale non solo slavo-orientale, ma anche europea.
Marcello Garzaniti
Link
Pubblicato in «Studi Slavistici» III (2006), pp. 371-375 (http://www.fupress.net/index.php/ss/article/download/3284/2895)