Rapp S.H.Jr.
Studies in Medieval Georgian Historiography: Early Texts and Eurasian Contexts
Peeters, Leuven 2003
Scheda a cura di: Pubblici L.
Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium 601, Subsidia vol. 113, pp. XIII-522
Per decenni la storia del Caucaso nel medioevo e di quella che per convenzione si è soliti indicare come Caucasia hanno risentito delle influenze ideologiche imposte dal dominio sovietico su quelle regioni. La storiografia di indirizzo marxista ha contribuito in modo determinante alla creazione di un’impalcatura interpretativa e metodologica che potesse indirizzare, talvolta facilitandola, l’indagine di fenomeni complessi quali la formazione di un’identità collettiva fra le singole popolazioni caucasiche, ma ha anche fortemente limitate le potenzialità delle storiografie locali. I risultati di tali e tante stratificazioni sono stati in primo luogo una quasi inesistente coordinazione sovranazionale e, di conseguenza, una scarsa profondità dell’indagine storica che troppo spesso ha dovuto fare a meno delle fonti indigene e delle competenze linguistiche necessarie.
La Caucasia medievale è un concetto vasto e assai complesso che geograficamente potremmo identificare con quella regione che dal Mar d’Azov si distende verso sud fino a comprendere l’Armenia attuale; essa è un istmo naturale che separa il Mar Nero dal Mar Caspio e, più in generale, il nostro concetto d’Europa da quello che abbiamo di Asia.
Uno degli organismi politici che dominarono quell’area in epoca medievale fu certamente la Georgia. Questa divenne cristiana nel IV secolo della nostra era in seguito alla conversione di Mirian III dei Cosroidi e figlio del gran re dell’Iran. La cristianizzazione della Georgia, argomento da tempo frequentato dagli storici e sul quale gioverà citare almeno due lavori fondamentali, ne spostò inevitabilmente il baricentro culturale verso Bisanzio e su questo punto si è molto dibattuto. Ci si è chiesti soprattutto se il sostrato culturale georgiano fosse stato influenzato direttamente da Bisanzio o se invece la matrice orientale, quella iranica, avesse prevalso nella formazione di un’identità collettiva. La partecipazione della Georgia a quello che Dmitrj Obolensky definì il “Commonwealth” bizantino è un dato difficilmente contestabile, almeno dal IV al X secolo, ma le dimensioni di questo fenomeno sono ancora oggi da definire e le posizioni degli storici sono talvolta contrapposte.
Lo strumento principale per tentare di approfondire la questione è certamente l’indagine documentaria che, sebbene risenta della penuria oggettiva delle fonti, ci consente di cogliere sfumature e influenze. La maggior parte della narrativa georgiana medievale ci è giunta attraverso un corpus letterario noto come k’art’lis c’xovreba (La vita di K’art’li, laddove per Kartli si deve intendere la nazione georgiana di quel tempo anche se il concetto è più complesso) e convenzionalmente chiamato Cronaca georgiana. Si è a lungo ritenuto che fosse stata composta nell’XI secolo, ma alcuni specialisti fra i quali Cyrill Toumanoff avevano già rifiutato questa collocazione e cercato di dimostrare che la K ’art’lis c’xovreba fosse ben più antica (precisamente degli anni a cavallo fra VIII e IX secolo).
Il libro di Stephen Rapp si propone di dimostrare da un lato la più antica datazione della Cronaca, dall’altro tenta di riconsiderare le influenze subite dalla Georgia fra Tarda Antichità e Alto Medioevo nel contesto geografico del Caucaso. L’opera è divisa in due parti: una lunga introduzione e sette capitoli. Nell’introduzione Rapp disegna un quadro storico al fine di costruire una cornice alla complessità politica e sociale della Caucasia in generale e della Georgia in particolare da cui è nata la fonte oggetto di indagine. Con precisa analisi filologica l’A. fornisce lo stemma codicum e delinea la tradizione manoscritta della Cronaca. Seguono la lista delle abbreviazioni e un corposo apparato bibliografico (pp. 49-98).
Si apre dunque il corpus centrale del libro in cui Rapp analizza la fonte e le sue implicazioni storico-letterarie (Beginnings: C’xorebay K’art’velt’a mep’et’a, La vita dei re Kartveli, pp. 101-68). La Cronaca nella sua parte iniziale è in realtà un corpus a sé composto da tre testi distinti che in traduzione sono: La vita dei re, composta da uno storico anonimo fra 790 e 813; la Vita di Nino, composta fra IX e X secolo e la Vita dei successori di Mirian, anch’essa anonima e risalente alla fine del X-inizi dell’XI secolo. Si ritiene che l’intero corpus documentario sia stato composto dal vescovo georgiano Leonti Mroveli, ma Rapp è più propenso ad attribuire al medesimo questa prima parte con certezza, mentre conserva dubbi sulla paternità del resto della fonte.
Il secondo capitolo (Hayk and k’art’los: Evolution of a Caucasian Origin Myth, pp. 169-96) affronta, seguendo la traccia della fonte, un argomento complesso quale le dinamiche di coabitazione fra georgiani (Kartveli) e armeni. L’emigrazione di kartveli che si verificò durante l’invasione araba della regione georgiana del VII secolo fu massiccia e mise in contatto i due gruppi etnici che naturalmente, nel corso degli anni, intensificarono i loro rapporti. Frutto dell’emigrazione georgiana fu anche l’ascesa della famiglia Bagratide, di origini armene e capace di colmare il vuoto di potere creato anche dall’invasione araba, che in breve tempo riuscì ad affermarsi come egemone in tutta la regione. Dai primi anni del IX secolo fino alla prima invasione mongola del Caucaso del XIII secolo il potere bagratide crebbe in misura esponenziale fino a comprendere gran parte dell’Armenia storica settentrionale e una fascia di territorio azerbaijano, verso il Caspio. La Cronaca contiene numerosi passi che forniscono una spiegazione dell’ingresso del popolo armeno entro l’ecumene cristiano. In questo capitolo Rapp dimostra, con buone argomentazioni e una solida analisi della fonte, la liceità di far risalire a prima del VII secolo la nascita e il consolidamento di questa tradizione.
Il capitolo terzo (The Life and Times of Vaxtang Gorgasali: C’xorebay Vaxtang Gorgaslisa, pp. 196-242) è una minuziosa analisi della seconda parte della fonte, appunto la vita di Vaxtang Gorgasali. Anche in questo caso la datazione della fonte viene rivista dall’A. Rapp sostiene che la Vita sia stata composta da due autori fra l’VIII e il IX secolo (fra l’ascesa della dinastia Apxazia e la conquista del potere da parte dei Bagratidi).
Il quarto capitolo (The pre-Christian section: The Primary History of K’art’li and Royal List I, pp. 245-98) apre la seconda parte del volume. In esso l’A. affronta il problema dell’etnogenesi georgiana sulla base della fonte. Consapevole dei limiti di tale operazione Rapp mantiene la sua indagine entro i confini proposti dalle genealogie reali contenute nella Cronaca e in particolare nella prima parte di essa, la Vita dei re. L’argomento viene ripreso e approfondito nel capitolo successivo (Christian rulers and Chief Prelates: Royal List II and III, pp. 299-333). Le liste fornite dalla fonte si rifanno al corpus documentario e precisamente la prima lista si rifarebbe alla prima parte della Cronaca, mentre le altre due avrebbero il loro bacino informativo nella Vita di Vaxtang Gorgasali. Le tre liste sarebbero da far risalire, secondo Rapp, agli anni finali del X secolo.
Rapp fornisce poi un’edizione, la prima in lingua occidentale, della Cronaca di David Smbat (Sumbat Davit’is-dze, cap. VI, pp. 337-412). Si tratta di una fonte autonoma dal corpus oggetto dello studio sino a ora (anche se ci è giunta insieme a esso) e fondamentale per capire l’ascesa e il consolidamento della potenza bagratide in Caucasia. Secondo Cyrill Toumanoff sarebbe stata composta intorno al 1030. Rapp conferma la convinzione che fu di Toumanoff.
L’ultimo capitolo del volume è dedicato alla conquista del potere da parte della dinastia bagratide e alla conseguente unificazione georgiana. Il successo bagratide è reso in georgiano con una parola che racchiude molteplici significati: Sak’art’velo. Si tratta di un evento la cui portata storica è notevolissima in quanto per la prima volta un potere egemone riuscì a unificare popolazioni diverse, lontane culturalmente e dette una prima organicità alla complessità etnica e culturale della Caucasia. Rapp dedica il capitolo settimo (Sak’art’velo, pp. 413-48) a questo fenomeno cercando di ricollocarlo nel contesto storiografico attuale e alla luce delle più recenti acquisizioni.
Dopo le riflessioni conclusive dell’A. il volume presenta due appendici, liste genealogiche e un accurato indice analitico.
Il libro di Stephen Rapp è un’opera complessa, poderosa e fondamentale. In oltre 500 pagine l’autore passa dall’indagine documentaria alla sintesi storica con familiarità e competenza offrendo un quadro nitido di una realtà culturale, politica ed etnica la cui interpretazione è da sempre assai ardua. L’edizione di una fonte come la Cronaca di David Smbat è un gioiello da custodire con gelosa cura e uno strumento prezioso. E’ il punto di vista di uno studioso preparato che cerca di offrire un quadro imparziale in uno degli ambiti ideologicamente più difficili da indagare. Il risultato è ottimo e spinge avanti l’auspicio che lavori simili stimolino gli studiosi a continuare la ricerca in questo campo in un momento storico in cui una conoscenza storica fallace e superficiale è frutto di troppi fraintendimenti.
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1. D. BRAUND, Georgia in antiquity: A history of Colchis and Transcaucasian Iberia. 550 BC-AD 562, Oxford, Clarendon Press 1994 e W. Seibt, Die Christianisierung des Kaukasus. The Christianization of Caucasus. Armenia, Georgia, Albania, Wien, Osterreichische Akademie der Wissenschaften 2002. Nel mezzo si è avuto il fondamentale congresso tenutosi a Spoleto nel 1996: Il Caucaso: cerniera fra culture dal Mediterraneo alla Persia (secoli IV-XI) (Atti della XLIII Settimana di Studi cisam, Spoleto 1996.
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