Ultimo aggiornamento: 26 maggio 2021
L’Adriatico in età moderna è stato spesso visto nella
sua dimensione veneziana e nei rapporti che la Serenissima intratteneva con le
città dalmate e con l’Impero ottomano. Mentre Venezia regolava con la sua
diplomazia e le sue flotte le relazioni con la Sublime Porta in quello che
considerava il suo Golfo, nell’Adriatico meridionale e nelle zone litoranee
pugliesi era in corso tra XV e XVII secolo una guerra fatta di continui sbarchi
di turchi e corsari, provenienti dall’Albania, che mettevano a sacco città,
masserie, monasteri e santuari.
Torri e castelli furono eretti per proteggere le città, il territorio fu
militarizzato, la nobiltà feudale e quella urbana furono impegnate in
operazioni di contenimento della minaccia turca. In tali frangenti l’Albania,
soprattutto la parte rimasta cristiana, fu vista dalle autorità
ispano-napoletane come un baluardo contro i turchi e la Chiesa si impegnò in
azioni che miravano a rafforzare quelle popolazioni nella loro fede, nella
convinzione che, prima o poi, esse si sarebbero ribellate ai loro dominatori.
Questo non avvenne, ma nei primi decenni del Novecento l’Italia unita,
riscopertasi potenza adriatica, rivendicò un suo ruolo politico in Albania e
nel 1939 riuscì a insediarsi nel paese delle aquile. Allora ritenne di aver
vendicato gli «oltraggi» subiti dalle popolazioni rivierasche pugliesi negli
anni ormai lontani che erano seguiti al sacco di Otranto (1480).