Monastero di Studenica, La Chiesa della Madre di Dio

Sec. VIII-X

Il monastero di Studenica, situato nella Serbia centrale, nei pressi dell’omonimo fiume, nella valle dell’Ibar, è uno dei più importanti luoghi di culto serbi. Fu fondato dal gran duca (gran giuppano, veliki župan) Stefan Nemanja (c.1166-1197), probabilmente nel periodo 1183-90, dopo l’allargamento dei confini dello stato di Raška. Il monastero è dedicato alla Dormizione della Madre di Dio. La costruzione della grande chiesa dedicata alla Madre di Dio Evergetis (Bogorodica Blagodetelnica), il mausoleo della famiglia dei Nemanidi, fu continuata dai figli di Nemanja, Stefan Primo-Coronato (1197-c.1228) e Vukan, mentre l’organizzazione del monastero fu messa a punto da Sava (1219-1235) che, quando era ancora archimandrita, scrisse il typikon secondo il modello del monastero Evergetis a Costantinopoli. Con l’ascesa al trono nel 1197, Stefan Primo-Coronato assunse l’impegno di completare i lavori della chiesa della Madre di Dio. È possibile che l’edificio invece venisse finito da Vukan che regnava sulla Raška tra il 1202 ed il 1204 (1205); sappiamo comunque, sulla base della scritta nel tamburo della cupola, che nel 1208 (1209) esso fu affrescato. Negli anni 30 del XIII secolo, alla chiesa della Madre di Dio fu aggiunto un atrio, da parte del re Radoslav (c.1228-c.1234), il quarto fondatore di Studenica. Tutti i membri della dinastia dei Nemanidi avevano cura del monastero che fu uno dei più importanti nella Serbia medievale. 

L’organizzazione dello spazio interno della chiesa della Madre di Dio è simile a quello di S. Giorgio, benché più allungato grazie ad un nartece aggiunto e senza le torri. Il corpo della chiesa è di fattura occidentale, forse pugliese. Esso è coperto con il tetto a due spioventi, rinchiuso da due frontoni rialzati, spartito da lesene, e ornato da fregi ad archetti, da tre portali e dalla trifora absidale. I portali sono a strombo e all’estradosso sono foggiati con i timpani ad arco falcato. Le finestre sono tutte bifore. La continuità del corpo nella parte dell’aula centrale è interrotta da un possente tambour carré, unito ai quattro archi maggiori, sul quale posa una cupola bizantina dipinta in rosso (alla maniera atonita). Le murature all’esterno sono realizzate in blocchi di marmo grigio-bianco locale, tagliati perfettamente in dimensioni diverse, e all’interno in blocchi di calcare; i pennacchi, invece, il tamburo e la calotta sono in mattoni. L’atrio aggiunto successivamente fu completamente realizzato in conci di calcare, e coperto con uno strato di malta e dipinto in rosso come la cupola. Questo ambiente è diviso in due campate coperte con volte a crociera con i costoloni pesanti, ad ogive acute, con influssi gotici. Ai lati nord e sud dell’atrio furono aggiunte due cappelle a base semicircolare, forse anche per motivi statici. L’interno di tutta la chiesa, invece, fu completamente affrescato secondo i canoni bizantini da parte di artisti di origine greca, probabilmente costantinopolitana.


Nota: Il 16 febbraio 1206 (1207), viene trasferito il corpo di Stefan Nemanja dal monastero Chilandar nella chiesa a Studenica dove viene sepolto. Lì vengono sepolti anche il re Stefan, il suo successore, come il monaco Simon, e probabilmente anche Vukan, il suo primogenito, e secondo la Genealogia di Tronoša, anche la moglie di Nemanja, diventata la monaca Anastasia, e la loro figlia. Intorno all’anno 1206 (1207) dalla tomba di Nemanja iniziò a scorrere myron, nel 1210 Simeone fu canonizzato e così iniziò il culto di San Simeone Miroblita.


Bibliografia essenziale: G. BABIĆ, V. KORAĆ, S. ĆIRKOVIĆ, Le monastère de Studenica, Beograd 1986; Студеница и византијска уметност око 1200. годинe, Међународни научни скуп поводом 800 година манастира Студенице и стогодишњице САНУ, ed. par V. Korać, Beograd 1988; M. ČANAK-MEDIĆ, Đ. BOŠKOVIĆ, Архитектура Немањиног доба. Цркве у Топлици и долинама Ибра и Мораве, II, Beograd 1986, 77-117. 

"Architettura medievale della Scuola serba di Raška", Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Facoltà di Architettura, 2009.


Di: Filipović A.
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