Slavo-ecclesiastica, letteratura

Kirchenslavische Literatur Sec. IX-XVIII

Nella sua fase iniziale la letteratura slavo-ecclesiastica è costituita dal patrimonio di traduzioni e di opere originali create per la celebrazione del culto, la disciplina canonica, la predicazione e la riflessione teologica in area slava danubiana e balcanica. Le sue origini risalgono alla missione cirillo-metodiana, che segnò l’invenzione di un alfabeto per gli slavi, l’alfabeto glagolitico, quando furono elaborate le prime traduzioni dei libri liturgici e canonici. Fu, infatti, Costantino-Cirillo (†869), che con i nomi delle lettere dell’alfabeto aveva composto un’originale invocazione ritmica, a porre le basi della letteratura slavo-ecclesiastica, con la magistrale traduzione dei vangeli e del salterio. Dopo la morte di Metodio (†885), consacrato a Roma arcivescovo per gli slavi, i suoi discepoli, cacciati dalla Moravia, trovarono rifugio alla corte del khan Boris e continuarono la loro opera nel primo impero bulgaro con nuove traduzioni e rielaborazioni dalla letteratura bizantina, rese di più facile lettura in area balcanica dall’adozione dell’alfabeto cirillico, più simile alla maiuscola greca.

Si prese allora a tradurre l’innografia bizantina, ma anche a elaborare una nuova innografia, ispirata al modello bizantino, fra cui si distinguono gli inni e le preghiere di Costantino di Preslav (metà IX-inizio XI sec.). Ci si preoccupò fin dagli inizi di elaborare in lingua slava alcune raccolte canoniche, che sintetizzavano il patrimonio giuridico romano orientale, fra cui in particolare si deve ricordare il Nomocanone (Sinagogé) in cinquanta capitoli del patriarca Giovanni Scolastico, che dovette servire al consolidamento della struttura ecclesiastica, dopo la breve stagione morava, all’interno del primo impero bulgaro.

Insieme alle traduzioni di scritti omiletici e teologici, soprattutto  miscellanee, come testimonia il cosiddetto Izbornik del 1073, che contiene numerosi scritti patristici, si cominciò a produrre anche un’omiletica originale, sempre sul modello bizantino, fra cui spiccano i sermoni di Clemente di Ocrida (†916), di Costantino di Preslav, che compilò il Vangelo didattico (Ucitel'no evangelie) e di Giovanni Esarca (II metà IX-I terzo X sec.). A quest’ultimo si debbono anche una complessa rielaborazione degli esameroni bizantini, l’Esamerone (Šestodnev), che, commentando la creazione secondo la Genesi, ha posto le basi della conoscenza della natura e del cosmo nella Slavia ortodossa, e la traduzione della Ekqesis pisteos di Giovanni Damasceno. Non mancano opere teologiche di carattere originale, come il Trattato (Beseda) di Cosma Presbitero, composto probabilmente fra il 967 e il 972, contro la nascente setta dei bogomili, ampiamente diffusasi nei Balcani, e un breve trattato apologetico della lingua letteraria slava, attribuito al peraltro ignoto monaco Chrabr. Si cominciarono anche a tradurre alcune cronache bizantine, fra cui spicca in particolare la versione slava della Cronaca di Giorgio Amartolo e della Cronaca di Giovanni Malala, che diffusero nel mondo slavo balcanico la conoscenza del mondo mediterraneo antico secondo l’interpretazione del ruolo provvidenziale dell’impero romano, elaborata in epoca costantiniana. Insieme alla letteratura canonica nelle miscellanee trovarono posto numerosi testi di origine apocrifa, che lungi dall’essere considerati apocrifi, continuarono per lungo tempo ad essere trasmessi, nutrendo la devozione.

Pur senza attingere direttamente alle più importanti elaborazioni filosofiche, giuridiche e teologiche del mondo classico e della tarda antichità, questa letteratura, che viene definita “paleoslava” o “paleobulgara”, fece proprie le forme retoriche della letteratura bizantina, erede della cultura classica, e l’esegesi scritturale patristica, che sono alla base delle diverse forme letterarie presenti nei libri liturgici e nella letteratura monastica in lingua greca. L’autore e il copista, le cui funzioni nel processo di elaborazione e rielaborazione dei testi sono difficili da distinguere, concepivano la propria opera in una forma di servizio alla propria comunità religiosa, conservando spesso il pieno anonimato.

Le prime generazioni dei discepoli di Cirillo e Metodio contribuirono decisamente a trapiantare la cultura bizantina nei Balcani, la cui diffusione è testimoniata anche in ambito artistico e architettonico, ma separarono definitivamente la Slavia ortodossa dalla Slavia latina, che, più o meno integrata all’interno del Sacro Romano Impero, adottò il rito latino, orientandosi definitivamente, soprattutto con la riforma dell’XI sec., alla sede romana. Solo nell’area dalmatica continuava a sopravvivere una comunità slava, che, pur dipendendo da Roma, riuscì a conservare l’alfabeto glagolitico e la lingua paleoslava, che assumendo caratteristiche locali prese il nome di “glagolitico-croato”. Con i suoi libri liturgici di rito latino, ma scritti in slavo, a partire dal messale e dal breviario romano, questa letteratura è sopravvissuta sin quasi ai nostri giorni, giungendo nel corso del XIV sec. a estendere la sua influenza all’area boema, che ha conservato a lungo la memoria dei suoi antichi legami con l’eredità cirillo-metodiana.

Con la progressiva riconquista bizantina dei Balcani e la scomparsa definitiva del primo impero bulgaro (1018) si determinò una fase di stagnazione della letteratura slavo-ecclesiastica  in quest’area, ma al contempo con la cristianizzazione della Rus’ (988) il patrimonio dell’epoca paleobulgara venne trasmesso all’area slavo-orientale, in cui venne istituita una metropolia, direttamente dipendente da Costantinopoli, ma che adottò per la liturgia e la cultura ecclesiastica i libri, che erano stati elaborati in slavo nei Balcani. L’attività di traduzione proseguì, comunque, nella Rus’ di Kiev, grazie probabilmente anche alla presenza di numerosi prelati greci, a cominciare dai medesimi metropoliti, continuando ad arricchire il patrimonio letterario slavo-ecclesiastico, come dimostra in primo luogo la traduzione del typikon studita, che venne adottato nel monastero delle Grotte di Kiev per regolare  la celelebrazione liturgica. In ambito slavo-orientale circolarono anche la traduzione slava della Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio e le Palee, che contengo testi esegetici dell’Antico Testamento, spesso ispirati al Targum. Ben presto si cominciarono a produrre opere originali, in cui sono manifeste le caratteristiche slavo-orientali (antico-russe), e che dovevano provvedere ai bisogni della nuova chiesa e del nuovo monachesimo. Nell’ambito dell’omiletica si segnala il Sermone sulla Legge e sulla Grazia (Slovo a zakone i blagodati), pronunciato dal metropolita Ilarion, primo presule della Rus’ di origine slava, intorno alla metà dell'XI sec., mentre più tardi proprio nel monastero delle Grotte di Kiev sul modello delle più antiche raccolte delle vite e dei detti dei padri del deserto, i cosiddetti paterika, già tradotti in slavo, si elaborava un Paterik del monastero delle Grotte di Kiev, che dimostra il trapianto del modello del monachesimo orientale in area slavo-orientale.

Grande importanza per la storia della letteratura slavo-ecclesiastica in area slavo-orientale riveste anche l’elaborazione di una cronachistica originale. Partendo dalla sintesi della storia universale, offerta nella cronachistica bizantina, la Cronaca degli anni passati (Povest’ vremennych let), attestata nella Cronaca Laurenziana (1377), presentava su base annalistica le vicende della stessa Rus’, inserendo gli avvenimenti locali nel disegno provvidenziale divino. Sulla base di questo modello si sviluppa in seguito nei diversi centri dell’area slavo-orientale una letteratura cronachistica, che segue le vicende locali dei diversi principati e città. Con l’epoca delle crociate e la diffusione della pratica del pellegrinaggio in Terra santa, anche la Rus’, seguendo la tradizione dei paesi dell’Europa settentrionale, cui rimase inizialmente legata, elaborò una letteratura di pellegrinaggio, testimoniata dall’Itinerario in Terra santa (Choženie vù Svjatuju zemlju) dell’egumeno Daniil, scritto fra il 1106 e il 1108, che rappresentò il modello della successiva letteratura di pellegrinaggio e di viaggio. In un contesto, in cui era ancora particolarmente forte il diritto consuetudinario, si dovettero anche elaborare una serie di disposizioni, che mediassero la realtà locale con la tradizione del diritto romano-orientale, ereditato da Bisanzio, come dimostra l’elaborazione della Russkaja pravda (XI-XII sec.), ma anche una serie di Regole (Ustavy), che passano sotto il nome dei principi regnanti.

Solo nel corso del XIII sec. con la formazione della Serbia medievale e del secondo impero bulgaro si assiste a una rinascita dell’attività letteraria in slavo nei Balcani, pur con diverse e più accentuate caratteristiche locali, che contraddistinguono la redazione serba e bulgara dello slavo-ecclesiastico. Insieme allo sviluppo della letteratura tradizionale, sia in traduzione, sia con opere originali, soprattutto in ambito agiografico e didattico-morale, fra cui si segnalano una serie di florilegi, si deve osservare con la costituzione di un’arcidiocesi in Serbia, l’elaborazione dei typika per i monasteri di Studenica e Hilandar, attribuiti a san Sava (†1236), suo primo arcivescovo, e la diffusione delle vite dei regnanti serbi, che a partire da Stefano, primocoronato, entrarono nel novero dei santi.

Si deve, comunque, attendere il XIV sec. con la diffusione dell’esicasmo nei Balcani e la concomitante rinascita monastica, perché la letteratura slavo-ecclesiastica riceva nuovo impulso in area slavo-meridionale. Soprattutto con il patriarca bulgaro Eutimio di Tarnovo (†1402?) e con Konstantin di Kostenec (ca.1380 – dopo il 1431) si sviluppa una consistente opera di rinnovamento della letteratura slavo-ecclesiastica, che da una parte recupera i modelli dell’epoca cirillo-metodiana, dall’altra li rinnova sulla base dei coevi modelli bizantini, introducendo idee e valori dell’esicasmo bizantino nella Slavia ortodossa e stabilendo definitivamente le forme dello slavo-ecclesiastico come lingua sacra della Slavia ortodossa. Questo rinnovamento non rimase confinato al mondo balcanico e alla realtà monastica, ma grazie agli stretti legami fra monasteri e soprattutto attraverso le comunità monastiche del monte Athos, raggiunse l’intera Slavia ortodossa, producendo nella Slavia orientale quel fenomeno, che tradizionalmente passa sotto il nome di “secondo influsso slavo meridionale”, per distinguerlo dal primo influsso, che aveva segnato gli anni immediatamente seguente la conversione della Rus’ di Kiev.

Insieme al recupero di numerose opere che risalivano all’epoca cirillo-metodiana o al primo impero bulgaro e alla diffusione di nuove redazioni dei libri liturgici, a partire dall’introduzione del typikon gerosolimitano, che avvicinava ancora di più la liturgia slava alla tradizione palesinese, l’esicasmo espresse opere originali soprattutto in ambito agiografico, in cui è evidente l'influsso stilistico dello scrittore bizantino Simeone Metafraste. Fra le opere più significative si può citare la Vita di santa Paraskeva di Eutimio di Tàrnovo, ma anche le vite e gli encomi di Kiprian Camblak (†1406), e in genere la produzione letteraria di Grigorij Camblak (†1419/1420) e di Pachomij il Serbo o Logoteta (†1484), che operarono nella Slavia orientale insieme a scrittori locali come Epifanij Premudrij († anni venti del XV sec.). Ricevette naturalmente un ulteriore incremento in area slavo-meridionale l’attività di traduzione, fra cui per esempio si deve segnalare la traduzione delle opere dello Pseudo-Dionigi Areopagita per opera del monaco serbo Isaja (XIV sec.) o la traduzione della Cronaca di Costantino Manasse, ma la principale attività si concentrò nella revisione, talvolta sulla base del greco, delle antiche traduzioni delle sacre scritture e più in generale dei libri liturgici, in cui nel corso dei secoli si erano accumulati errori e lacune, provvedendo a più riprese a uniformare le lezioni. Rimangono, invece, quasi del tutto sconosciute le opere dei protagonisti del dibattito teologico sull’esicasmo, che si svolsero a Bisanzio, a dimostrazione, che la letteratura slavo-ecclesiastica anche in questo periodo conservava principalmente un orientamento pratico, legato alla celebrazione del culto, all’ordinamento ecclesiastico e alla vita monastica.

Mentre i Balcani venivano progressivamente occupati dai turchi, fino alla definitiva conquista, che vide scomparire il secondo impero bulgaro, il regno serbo e infine con la caduta di Costantinopoli (1453) la stessa Bisanzio, si impose un lungo periodo di stagnazione in area slavo-meridionale, mentre in area slavo-orientale si sviluppava contemporaneamente un processo di centralizzazione intorno alla città di Mosca, sede del gran principato e dell’antica metropolia kieviana. La resistenza delle realtà locali, fra cui si distinguono in modo particolare il principato di Tver’ e soprattutto la citta di Novgorod, che si opposero a lungo alla supremazia moscovita, si manifesta chiaramente all’interno della letteratura slavo-ecclesiastica di redazione slavo-orientale, che pur mantenendo stretti rapporti con il mondo slavo-meridionale sviluppò sempre di più le sue peculiarità. Questa contrapposizione è evidente non solo attraverso il corpus degli annali, ma anche nelle singole opere, che di volta in volta, pur seguendo i canoni tradizionali, mirano a offrire un’interpretazione della storia della Rus’. Si possono ricordare, per esempio, le opere dedicate alla battaglia di Kulikovo (1380) contro i tartari, che mostrano un’evidente lettura filomoscovita della vicenda, e il Racconto sulla tiara bianca (Povest’ o belom kobluke), che recuperando ormai in epoca tarda la Donazione di Costantino, cercava ancora di preservare l’autonomia ecclesiastica, di cui l’arcidiocesi di Novgorod aveva goduto nel corso dei secoli. Ed è proprio qui a Novgorod, prima della sua definitiva sottomissione a Mosca, che intorno all’arcivescovo Gennadij (†1505) si riuniva un gruppo di traduttori ed ecclesiastici, preoccupati di dotare la chiesa russa di quegli strumenti esegetici necessari per combattere le eresie e più in generale l’influsso del vicino occidente. Alla sua iniziativa si deve la prima versione completa della bibbia slava (1499), sulla base sia delle traduzioni esistenti, ma anche sulla base del latino, laddove non era stato possibile trovare la versione slava.

Ma non c’è alcun dubbio che la pressione dei tartari da una parte e le tendenze espansive del principato lituano, unitosi poi con la corona polacca, dall’altra provocarono nella Slavia orientale, a partire dalla Moscovia,  un  processo di centralizzazione, di cui la sede metropolitana, definitivamente trasferita a Mosca nel corso del XIV sec., si fece interprete non solo attraverso una radicale difesa delle sue prerogative, ma soprattutto mediante una campagna culturale, di cui sono testimonianza numerose opere della letteratura slavo-ecclesiastica. In questo ambito si debbono considerare una serie di opere di polemica antilatina, che seguirono la mancata accettazione  a Mosca del Concilio di Ferrara-Firenze, con la conseguente fuga del legittimo metropolita, il cardinale Isidoro, rivolte contro i tentativi di istituire una metropolia indipendente nello stato polacco-lituano. A questa polemica partecipò anche il monaco Massimo il Greco (†1555), che si era formato in Italia in ambito umanistico e che in seguito era divenuto monaco sul monte Athos. Chiamato a Mosca per rivedere la traduzione del Salterio, aveva cominciato a partecipare alla vita ecclesiastica del paese che lo ospitava, combattendo sia l’influsso del mondo latino, sia difendendo le prerogative della chiesa costantinopolitana. Nel frattempo l’eremita Nil Sorskij (†1508), ma soprattutto i suoi discepoli, partecipavano attivamente alla vivace polemica sulla “povertà monastica”, che li vide opposti al “partito iosefita”, guidato da Iosif di Volokolamsk (†1515) che non solo combattè l’eresia dei Giudaizzanti nel suo Illuminatore (Prosvetitel'), ma nei suoi scritti difese apertamente la "proprietà ecclesiastica" e i grandi possedimenti monastici.

Intanto lo slavo-ecclesiastico era diventato, pur nella sua redazione slavo-orientale la lingua della cancelleria moscovita e in questa lingua polemizzano fra loro lo zar Ivan il Terribile e il principe Kurbskij, costretto a fuggire nello stato polacco-lituano, quando infieriva la repressione dello zar contro l’aristocrazia moscovita, mentre nella medesima epoca si dettavano nel Governo della casa (Domostroj), le regole della vita quotidiana e familiare in uso nella Moscovia e si scrivevavo le disposizioni del Sinodo dei Cento capitoli (Stoglav, 1551). In slavo-ecclesiastico, sulla base del modello bizantino, sono scritte le numerose opere che illustravano la trasformazione della Moscovia nell’impero russo, legando la storia russa alla storia romana, mettendo per esempio in relazione la dinastia dei Rjurikidi ad Augusto, furono composti anche i nuovi riti di incoronazione degli zar, mentre maturavano nuovi interessi per la storia antica e soprattutto per la storia romana, come dimostra la diffusione nel XV-XVI sec. dell’Annalista greco e romano (Letopisec ellinskij i rimskij). A quest’epoca appartengono i Grandi Menei di lettura (Velikie Minei-Cetii), redatti sotto la direzione del metropolita Makarij (†1563), che in dodici grandi volumi nell’ordine del calendario liturgico contengono i testi più significativi della tradizione letteraria slava, costituendo una vera e propria enciclopedia della Slavia ortodossa.

L’ultima grande stagione dello slavo-ecclesiastico si colloca nel XVII sec., in particolare nell’ampio territorio della Rutenia (nelle odierne Ucraina e Bielorussia), in cui dopo la diffusione del protestantesimo, si ebbe una vivace reazione ortodossa, soprattutto da parte delle confraternite laiche (bratstva), guidate dalla nobiltà locale e sotto la protezione dei cosacchi. L’uso della stampa, si ricorda in particolare la stamperia di Ostroh, presso cui uscì la prima bibbia a stampa in slavo (Bibbia di Ostroh, 1581), favorì la pubblicazione dei libri liturgici necessari alla celebrazione, ma anche una serie di opere, che promuovevano l’istruzione catechetica e la polemica in chiave anticattolica e antiprotestante. Ma come testimonia l’ambiente kieviano dell’epoca, anche dopo la fondazione dell’Accademia Greco-Latino-Slava per opera del metropolita Petr Mohyla (†1647) la conoscenza del latino, la diffusione del polacco (la Rutenia faceva parte dello stato polacco-lituano) e persino l’uso della prosta mova, che era più vicina alla lingua parlata, ma con forti influssi polacchi, tendevano a restringere l’uso dello slavo-ecclesiastico.

La letteratura slavo-ecclesiastica, invece, non aveva concorrenti nell’area moscovita, a cui parteciparono attivamente prelati e monaci provenienti dalla Rutenia, fra cui si deve citare in primo luogo Simeon Polockij (†1680), e anzi proprio in questo periodo soprattutto attraverso la mediazione polacca e rutena il suo patrimonio tende ad arricchirsi di nuove opere, che mostrano i sensibili cambiamenti nei gusti letterari, che caratterizzano l’epoca barocca. In questo contesto si comprende l’ampia diffusione non solo di opere religiose, ma anche di poesie d’occasione, di drammi teatrali e di racconti fantastici. Ed è proprio a partire dall’impero russo, che lo slavo-ecclesiastico estende nuovamente la sua influenza nell’area balcanica sotto il dominio ottomano, quando fu istituito il patriarcato di Mosca (1589), grazie soprattutto all’attività della tipografia patriarcale e attraverso i tradizionali rapporti che la Russia continuava avere con il monte Athos, ma anche attraverso la Moldavia, che pur in un contesto romanzo, continuò a lungo a conservare nella liturgia e in ambito monastico lo slavo ecclesiastico.

Con lo sviluppo delle lingua nazionali moderne nell’ambito della Slavia ortodossa, a partire dal russo, fino a serbo e al bulgaro, lo slavo-ecclesiastico vide progressivamnete ridotte le sue funzioni, conservandosi più a lungo nell’ambito liturgico e della letteratura ascetica e monastica, come testimonia la diffusione a partire dalla fine del XVI sec. in area slavo-meridionale dei Damaskini, in buona parte costituito dalla traduzione slava del Thesauros di Damaskenos Studites (†1577). E proprio nel contesto monastico, che conservava la sua unità linguistica la Slavia ortodossa, come dimostra la diffusione della Filocalia slava, elaborata da Paisij Velickovskij (†1794),  che simboleggia il rinnovamento monastico, che attraversò il mondo slavo orientale e che si congiunse più tardi con il rinnovamento teologico dell’epoca contemporanea. Lo slavo-ecclesiastico ormai in uso solo nella liturgia della Chiesa ortodossa russa ha comunque lasciato profonde tracce nella formazione delle lingue slave moderne del mondo ortodosso slavo, soprattutto in area russa, e il suo retaggio culturale rappresenta uno straordinario patrimonio comune a tutte le nazioni, cresciute nell’alveo della Slavia.

 

Bibliografia:

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Di: Garzaniti M.
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