У истоков религиозного раскола славянского мира (XIII век)

Ultimo aggiornamento: 13 maggio 2021

Florja B.N.

У истоков религиозного раскола славянского мира (XIII век)

Aletejja Sankt-Peterburg 2004

Scheda a cura di: Garzaniti M.



Vi sono piccoli volumi, che a volte lasciano il segno più di compendiose opere. Credo che questo sia il caso del libretto pubblicato a Mosca dallo storico B. N. Florja, membro corrispondente dell’Accademia delle Scienze della Russia e fra i maggiori specialisti russi di storia dell’Europa centro-orientale. Dopo essersi occupato della questione cirillo-metodiana e più recentemente dell’Unione di Brest (1596) e della cosidetta “chiesa uniata”, Florija ha voluto risalire alle radici del conflitto fra mondo latino e mondo ortodosso nella storia degli slavi. Il titolo evidenzia non solo l’approccio storico-religioso all’argomento assai delicato e complesso, ma in qualche modo fa intuire la tesi dello studioso, che, riflettendo sulle “origini della divisione religiosa del mondo slavo”, ne fissa la nascita al XIII sec. L’argomento avrebbe potuto essere oggetto di un’opera in più volumi, ma l’autore sceglie una forma breve, ma sostanziosa, di cui vogliamo esporre i principali argomenti, aggiungendo qualche personale riflessione.

Lasciando sullo sfondo i divergenti percorsi secolari della chiesa romana e costantinopolitana, Florja esordisce descrivendo l’atteggiamento del mondo slavo ortodosso nei confronti del mondo latino dopo il fatidico 1054. In questa panoramica generale emergono i protagonisti dell’area e i principali fattori di opposizione e di dialogo in ambito religioso, dalla letteratura antilatina alla tradizione monastica orientale, dalla pratica dei matrimoni misti al culto dei santi. Concentrandosi sempre sull’area ortodossa, Florja sottolinea la continuità del dialogo, e persino della collaborazione in area slava orientale, riducendo l’ambito delle ostilità a ristretti gruppi del clero (p.25), anche se deve ammettere lo stato di permanente conflittualità dell’area serba, dove le diverse comunità vivevano a stretto contatto e si manifestavano frequenti conflitti di giurisdizione.

Alla fine del capitolo introduttivo appena due paginette sono dedicate alla Quarta crociata e alla conquista di Costantinopoli. Se ne riconoscono le immediate conseguenze limitatamente a Bisanzio, con un accenno soltanto al cambio di politica di Innocenzo III, che finì per sostenere la costituzione di un impero e di un patriarcato latino a Costantinopoli. In realtà, come si può constatare dagli eventi narrati in seguito, questo evento alla lunga si dimostrerà determinante nella definitiva separazione fra le due confessioni religiose, manifestando la radicale evoluzione del cattolicesimo occidentale, non solo da un punto di vista politico, con l’affermazione della teocrazia papale, ma anche sul piano ecclesiale col tentativo di imporre universalmente la tradizione romana, relegando ogni diversità alla lingua e al rito. Vorremmo citare quanto dice a questo proposito C. Alzati: “L’unità della Christianitas trovò dunque nella normativa ecclesiatica “romana” un preciso supporto istituzionale. Sicchè non stupisce che per diversi aspetti la Cristianità stessa venga riproponendo lineamenti affini a quelli del sistema ecclesiastico romano… In questo inserimento della stessa Orientalis ecclesia nel sistema ecclesiastico fondato sul principio petrino, l’espansione di tale sistema trovava certamente il suo culmine…” (C. Alzati, Vescovo di Roma e comunione, tra canoni e principio petrino, in Il Papato e l’Europa, a cura G. De Rosa, G. Cracco, Soveria Mannelli 2001, pp.172-173). Non ci può, dunque, che trovare solo parzialmente d’accordo l’affermazione di Florja, quando scrive: “Nella storia dei rapporti reciproci degli stati slavo-meridionali e Roma l’anno 1204 non è stata affatto una data di rottura” (p.40). Lo stesso autore sembra comunque consapevole della determinante influenza degli eventi costantinopolitani in Europa centro-orientale, quando sottolinea sulla base dei lavori di W. Norden e J. Gill, l’importanza della politica di Innocenzo III nell’imposizione di un’unica gerarchia, di preferenza latina, all’interno della chiesa romana (p.114).

Nei successivi capitoli Florja esamina separatamente i Balcani (Bulgaria e Serbia) e la Rus’, conservando un approccio nazionale, che ci sembra indebolire l’impianto generale. D’altra parte nella tradizione degli studi, fin dall’ottocento, le ricerche si sono concentrate sulla ricostruzione delle storie nazionali, e, per l’aspetto religioso, delle storie delle chiese. In fondo è soprattutto a questa bibliografia ottocentesca, in particolare per l’edizioni delle fonti, che fa riferimento l’autore. Ne consegue un ulteriore restringimento dell’orizzonte: non solo ci si concentra sul mondo ortodosso slavo, ma si finisce per analizzarlo sulla base delle storie nazionali. E così quanto avviene nel mondo latino, e in particolare in quella che chiamiamo “Slavia latina”, compare solo se ha direttamente rilievo in Serbia, Bulgaria e nella Rus’. Ne risultano estranei i grandi cambiamenti che si stavano realizzando nel mondo occidentale e più in particolare nella Slavia latina. Risulta assai frammentato, inoltre, il ruolo dell’Ungheria, ben delineato nel primo capitolo, con la sua posizione fra mondo ortodosso e mondo latino a stretto contatto sia con i Balcani sia con le emergenti potenze della Rus’ e della Polonia. Infondo la stessa politica papale, pensiamo per esempio ai vari concili dell’epoca, pur così importante nella riflessione di Florja, si ricostruisce con maggior difficoltà proprio perchè esaminata all’interno di ristretti orizzonti nazionali.

Florja ricostruisce i rapporti della Bulgaria e della Serbia con Roma, esponendo dapprima le vicende del primo terzo del XIII sec., per estendere poi la sua riflessione fino agli inizi del XIV sec. Ancora prima della conquista crociata di Costantinopoli gli equilibri nei Balcani erano divenuti precari, soprattutto con la rinascita dell’impero bulgaro e lo sviluppo del principato serbo, che cercavano una propria collocazione politica ed ecclesiastica, ma è innegabile che il 1204 rappresenti una svolta storica. Nell’area serba, più limitrofa al mondo latino, nei rapporti con l’Occidente si puntò soprattutto al riconoscimento politico, con l’incoronazione regale del principe Stefano sotto l’egida di papa Onorio III, che secondo Florja doveva inevitabilmente accompagnarsi a un’atto di sottomissione della gerarchia ecclesiastica a Roma. Di segno opposto appaiono i rapporti religiosi con l’impero bizantino di Nicea, che promosse l’elevazione del fratello Sava a primo arcivescovo serbo. In questa area, nelle regioni limitrofe all’Adriatico, rimaneva fortemente radicata la chiesa latina, mentre nelle regioni più interne l’appartenenza alla giurisdizione della sede arcivescovile di Ocrida, a lungo occupata da prelati greci, aveva favorito l’influsso di Bisanzio. La compresenza delle diverse tradizioni ecclesiastiche è testimoniata dal fatto che, come ha osservato Florja, persino Stefano Nemanja, genitore del primo re e del primo arcivescovo, avesse ricevuto il battesimo nella chiesa latina e solo successivamente la celebrazione sacramentale sia stata ripetuta secondo il rito bizantino, con una prassi assai discutibile che in entrambe le vite di Stefano, scritte in epoche diverse, divenne oggetto di diverse spiegazioni (pp.30-31,81). Rimane, dunque, piuttosto contradditoria l’affermazione di Florja secondo cui i “tentativi di avvicinamento a Roma costituivano un’azione puramente politica” (p.54).

In Bulgaria si ricostituì insieme all’impero una chiesa autonoma, che poi cercò il riconoscimento dell’autocefalia, come già il primo impero bulgaro aveva fatto, ancora ai tempi di Cirillo e Metodio. Con l’ottenimento della corona per Kalojan, ai tempi di Innocenzo III, proprio l’anno della conquista crociata di Costantinopoli, si sperava di ottenere anche l’elevazione al rango di patriarca del presule bulgaro di Tarnovo. Secondo Florja si tratta ancora una volta di un’operazione politica, il cui prezzo era la sottomissione alla lontana sede apostolica romana, approfittando dell’indebolimento dell’autorità ecclesiastica bizantina, relegata a Nicea. La situazione mutò successivamente per le pressioni insistenti dei legati papali perché si realizzasse una vera sottomissione a Roma, soprattutto dopo il Concilio Laterano IV (1216). Fu, comunque, la nuova politica espansionista di Ioann Asen II, in contrasto con l’Impero latino che spinse lo zar bulgaro a cercare il riconoscimento ecclesiastico a Nicea. Finalmente l’arcivescovo di Tarnovo ottenne la dignità patriarcale. Mettendo in primo piano la ricerca di nuovi equilibri politici, causati dall’espansione occidentale, Florja cerca di giustificare le intese delle potenze balcaniche con il mondo latino, rassicurando comunque il lettore sulla conservazione della tradizione ortodossa nell’area bulgara (“l’unione con Roma si realizzò sul piano gerarchico e non canonico”, p.68). Lo confermerebbe l’immediata ripresa dei migliori rapporti con Bisanzio. In realtà, come deve ammettere anche Florja, in Bulgaria la questione non dovette essere così indolore se comportò la deposizione dei vescovi precedentemente ordinati! L’unione con Roma sia della Serbia (sic!) sia della Bulgaria rimarrebbe per lo studioso solo un “atto formale”, che non aveva mutato sostanzialmente la vita religiosa della società, che comunque rimaneva estranea allo “stereotipo ostile del latino” (p.82).

Nel capitolo successivo lo studioso esamina la reazione del papa e delle potenze occidentali ai mutamenti nell’orientamento ecclesiastico delle potenze balcaniche, a cominciare dalla crociata proclamata nel 1238 contro Ioann Asen, la prima che ebbe per oggetto un paese slavo (p.87). I rapporti con l’area serba appaiono meno tesi, soprattutto grazie ai rapporti dinastici, in particolare ai tempi della regina Elena, fino ai tentativi di unione con Roma sotto re Milutin. Florja si sofferma soprattutto sul ruolo del papato e del regno di Ungheria nella lotta contro ogni scisma ed eresia nei Balcani, ma anche sulla diffusione degli ordini mendicanti, che rappresentavano la chiesa latina nei territori più lontani. Di fronte alla riorganizzazione dell’impero bizantino e della sua chiesa si sviluppavano intanto sia tentativi di dialogo, che non portarono a nessun risultato, sia nuovi progetti di conquista. In generale, secondo Florja, si cominciano a osservare, come reazione al mondo latino, crescenti sentimenti di ostilità nella Slavia ortodossa, che rendevano impossibile ogni forma di avvicinamento e di unione. L’esempio più evidente è rappresentato dalle “severe limitazioni” (p.111) imposte alla chiesa latina, soprattutto con il divieto dell’azione missionaria, come si può evincere dal Zakonik di Stefano Dušan.

La necessità di giustificare gli avvicinamenti al mondo latino, insieme alla pronta condanna di ogni tentativo di unione proveniente da Bisanzio, mostrano in qualche modo quanto lo storico, pur sforzandosi di essere oggettivo, si senta inevitabilmente schierato a difesa della propria tradizione. In sé nulla di negativo, ma certamente siamo ancora ben lontani da una ricostruzione serena dei fatti. D’altra parte non succede di meglio in Occidente, se consideriamo, per esempio il recente libro di M. Meschini, giovane studioso dell’Università cattolica di Milano, dedicato alla Quarta crociata (1204: l’incompiuta. La quarta crociata e le conquiste di Costantinopoli, Milano 2004), in cui l’autore si sforza, arrampicandosi talvolta sugli specchi, di giustificare la sede papale e di spiegare persino le ragioni dei crociati e del loro sacco della città.

L’impianto dello studio non muta sostanzialmente spostandosi all’area slavo-orientale, in cui, tuttavia, lo studioso, si mostra più a suo agio rispetto alla complessa area balcanica. Nei primi decenni del XIII sec.  si sviluppano intensi rapporti fra il mondo latino e le diverse realtà della Rus’, a partire dal principato di Galizia, che si trovava a stretto contatto con i regni di Ungheria e di Polonia. Lo dimostrano in primo luogo le unioni matrimoniali, ma anche i comuni sforzi di sottomettere le popolazioni pagane del Baltico. Ciò avrebbe aperto le porte anche alla diffusione degli ordini mendicanti, soprattutto dei domenicani, e alle missioni dei legati pontifici. La ricerca dell’unione religiosa si sarebbe sviluppata nel più ampio contesto della politica del papato, inizialmente meno interessato alla Rus’ che ai Balcani. La sua azione si svolgeva attraverso propri legati, ma sempre con il sostegno dell’Ungheria, della Polonia e soprattutto dell’ordine teutonico, stabilitosi sulle rive del Baltico, e mirava a controllare l’intero territorio. L’inevitabile conflitto con la città di Novgorod, comunque, almeno fino agli anni venti del XIII sec. non aveva assunto carattere confessionale, ma si limitava alla preminenza nel controllo delle popolazioni pagane.

Conservando la medesima divisione cronologia della parte dedicata ai Balcani, Florija presenta alcuni fattori, che avevano radicalmente mutato la situazione. In primo luogo si osservano i cambiamenti nella politica papale, soprattutto con il pontificato di Gregorio IX, nei confronti delle chiese di tradizione bizantina. Giustamente a questo proposito Florja accenna all’Italia meridionale. Forse maggiore attenzione si doveva porre proprio alla politica di latinizzazione in questa area, assai vicina ai Balcani, che come ha mostrato V. Peri, recentemente scomparso, è di grande importanza per comprendere la politica del papato nei confronti del mondo bizantino e slavo. Nell’area rutena la sfera d’influenza del mondo latino si estendeva sia attraverso l’ordine dei domenicani e l’azione dell’episcopato polacco, sia mediante un rapporto diretto del papato con i principi della Rus’. Inizialmente in Galizia si raggiunse un importante risultato con la consegna delle insegne regali al principe Daniil. Come già per la Bulgaria Florja, comunque, sottolinea le ragioni politiche del suo avvicinamento al mondo latino, causate in primis dalle pressioni dei tartari, mentre la chiesa locale riconosceva, peraltro solo formalmente, la sottomissione a Roma (pp.161-167). Il suo esempio, comunque, non era stato seguito dagli altri principi della Rus’, in primo luogo da Alessandro Nevskij.

A suo parere vi furono altri motivi contingenti che fecero emergere definitivamente la separazione dal mondo latino. Da una parte, infatti, il principato lituano, in cui dominava il paganesimo, coinvolse le aree della Rus’, che controllava, nei suoi conflitti con la Polonia. Dall’altra le pressioni dei tartari non solo ostacolarono il proseguimento di ogni dialogo con la santa sede e con il mondo latino, ma costrinsero i principi della Rus’ a prendere le armi contro i propri vicini al seguito dell’esercito mongolo. Tutto questo provocò la reazione del papato, che cominciò ad associare nelle sue bolle i pagani agli “infedeli” (nel senso di “scismatici”, ma la questione meriterebbe un attento approfondimento!), ma soprattutto suscitò nei regni vicini un senso di profonda ostilità nei confronti del mondo slavo ortodosso che venne associato sia alle popolazioni pagane sia all’invasore mongolo. In Ungheria, in Polonia e anche nel regno boemo si sviluppò così, già nel XIII sec., quell’idea di difesa, di “antemurale” della cristianità, che, facendo identificare il “mondo cristiano con il mondo latino”, finì per escludere definitivamente il mondo slavo ortodosso, (p.186). Solo più tardi si sarebbe manifestata nel mondo slavo orientale la separazione confessionale dal mondo latino.

Non ci rimane che trarre qualche conclusione. E’ un merito di Florja aver sottolineato il manifestarsi progressivo dell’antagonismo fra cattolici e ortodossi, ben più tardo del fatidico 1054, e a suo parere neppure immediatamente successivo all’occupazione latina di Costantinopoli. Gli si deve riconoscere, inoltre, il tentativo di rivedere una serie di giudizi storici sull’azione del papato e dei paesi vicini, come per esempio l’idea, espressa da B.Ja. Ramm, che ogni intervento papale contro i pagani avesse per oggetto anche la Rus’ (p.127), soprattutto quando riguardava le crociate sul Baltico (pp.145-148). E’ interessante anche l’esame dei diversi punti di vista sulla crociata contro i tartari (pp.178-179).

Rimane, comunque, ancora moltissimo da fare, soprattutto nell’attenta lettura delle fonti, di cui si fornisce solo qualche esempio. Lo meriterebbe soprattutto la Cronaca di Galizia e Volinia, ora oggetto di una serie di studi importanti (peraltro non citati). Certamente nel saggio rimane ancora forte la tentazione di addebitare la separazione definitiva della Rus’ alla politica aggressiva del papato romano e dell’ordine teutonico e alla miopia dell’Occidente sulla reale minaccia tartara. Si finisce così per giustificare la scelta di campo operata dai principi, che si sottomisero al potere dell’Orda, a cominciare da Alessandro Nevskij che, secondo Florja, sarebbe stato guidato da un ineluttabile realismo. Anche in questo caso, tuttavia, al di là dei fattori contingenti, sarebbe stato opportuno considerare la politica papale nel suo complesso e gli stretti legami fra la situazione del Baltico e quella dei Balcani, per non parlare dell’oriente mediterraneo, che rimane del tutto fuori dalla riflessione dell’autore.

In generale crediamo non sia stata messa sufficentemente in rilievo la ragione fondamentale di quell’ostilità di fondo della Slavia ortodossa al mondo occidentale, già presente prima di ogni tentativo di dialogo e di unione e che è difficile veder limitata a una ristretta cerchia clericale. Prima ancora dell’espansionismo occidentale vi è stato un lungo periodo di incubazione, iniziato fin dalla conversione al cristianesimo di tradizione orientale, in cui Bisanzio aveva instillato nel mondo slavo in ogni modo possibile sentimenti di profonda estraneità, se non di ostilità. Basterebbe considerare la letteratura antilatina, prodotta in area slava dalle gerarchie greche, per comprendere quanto alto fosse ormai il muro di separazione. La Slavia ortodossa ne era stata coinvolta fin dalle origini, ma effettivamente, e in questo ha pienamente ragione Florja, solo nel corso XIII sec. questa separazione si manifestò pienamente, diventando “coscienza sociale” (p.6), ma i semi erano stati seminati ben prima, possiamo dire fin dai tempi della prima conversione degli slavi.

Certamente si deve riconocere la grande attualità di questa riflessione storica e soprattutto la verità del giudizio finale che l’autore esprime alla fine del libro. Per ironia della storia la divisione del mondo cristiano, che segna anche la divisione del mondo slavo, si realizzò in maniera più compiuta proprio quando si cominciavano a realizzare in Occidente quei profondi progressi (aggiungiamo noi culturali e sociali), da cui il mondo bizantino slavo sarebbe rimasto estraneo. Rimane la fatica di una sintesi, cui si deve rendere onore, soprattutto per lo sforzo di riandare alle fonti (più che alla letteratura critica) e che rappresenta un importante stimolo a tornare a riflettere con meno pregiudizi, e con più saggezza, a momenti storici che furono cruciali per il destino non solo della Slavia ortodossa, ma dell’Europa intera.

 Marcello Garzaniti

 pubblicato in «Studi Slavistici» III (2006), pp.367-371

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La breve monografia è uscita precedentemente a puntate nel giornale “Istoriceskij vestnik” 2, 3-4 (1999), 1, 2, 3-4 (2000), 1 (2001), disponibile su internet all’indirizzo: http://www.vob.ru/public/bishop/istor_vest/istor_vest.htm