Monastères, images, pouvoirs et société à Byzance

Ultimo aggiornamento: 25 maggio 2021

Kaplan M.

Monastères, images, pouvoirs et société à Byzance

A cura di Kaplan M. - Publications de la Sorbonne, Paris 2006

Collection: Byzantina Sorbonensia


Le pubblicazioni sul monachesimo bizantino sono tutt’oggi ancora piuttosto esigue, a dispetto del grande interesse storico di questo fenomeno e delle sue numerose prospettive di ricerca. Questo volume rappresenta dunque un passo importante nella storia degli studi sul monachesimo, inteso come fenomeno ampio e dalle molteplici implicazioni nella società. Il volume si compone di due parti distinte: nella prima sono raccolti alcuni contributi presentati al XX Congresso Internazionale di Studi Bizantini di Parigi; nell’altra trovano posto saggi recenti dedicati alla seconda fase dell’iconoclasmo. Nondimeno, in questa struttura bipartita, la linea comune risulta chiara: attraverso i risultati delle ricerche più recenti sul monachesimo offrire una chiave di lettura più ampia per la comprensione dei fenomeni politici e sociali del mondo bizantino. E ciò grazie al fatto che la documentazione relativa al monachesimo a Bisanzio è straordinariamente ricca e si presta a differenti approcci. Come osserva infatti Michel Kaplan nell’introduzione, accanto alla storia propriamente politica - relativa cioè ai circoli di potere della capitale così ben documentati dalla storiografia ufficiale – il monachesimo è la parte meglio conosciuta della società bizantina “en raison des sources relativement abondantes qu’il nous a laissées. Pour autant, le champ de la recherche reste quasi infini» (M. Kaplan, Introduzione, p. 9).

Il volume presenta alcune novità programmatiche: la prima è quella di risalire ai luoghi geografici in cui il monachesimo si è sviluppato all’interno dell’ecumene bizantina e che non sono stati ancora studiati. Tra questi luoghi vi è senza dubbio il deserto di Gareja, terra di martiri nel sud-est della Georgia, un sito rupestre fondato nel VI secolo e che divenne, nel corso del tempo, uno dei maggiori centri di pellegrinaggio della regione (Z. Skhirtladze). Insieme ai luoghi, anche i personaggi del monachesimo devono essere riscoperti partendo dalle origini: D. Krueger,  sulla scorta dell’archetipo della biografia monastica, la Vita di Antonio, si chiede se il testo agiografico rifletta la vita monastica o se la vita dei monaci debba piuttosto uniformarsi al modello testuale. Ancora al pubblico dell’agiografia è dedicato lo studio di K. Metzler, che cerca di determinare chi siano stati i veri lettori delle biografie monastiche di Eustazio, giungendo a individuarli, piuttosto che nei monaci della metropoli di Tessalonica, nei membri dell’aristocrazia colta della capitale ai quali sempre più spesso il vescovo indirizzava i propri discorsi.

Che i monaci dell’epoca protobizantina siano stati implicati nella vita politica e sociale del proprio tempo non è più una novità. Ma ciò che lo studio di P. Hatlie ci rivela è il paragone possibile fra le fazioni dell’Ippodromo - sia di Costantinopoli sia di altre città provinciali – e i monaci, intesi come gruppo capace di opporsi alle autorità politiche e religiose. Monaci e fazioni erano evidentemente gruppi di pressione differenti ma che svilupparono strategie e armi politiche comparabili, il che permette di mettere a fuoco alcune regole di base della contestazione politica in epoca protobizantina. Ma, mentre le fazioni del circo col tempo si eclissarono, i monaci ritrovarono a più riprese nel corso della storia bizantina la loro forza di opposizione politica.

A un’analisi di tipo onomastico, ovvero alla metonomasia,  è dedicato il contributo di due studiose, A.-M. Talbot e S. McGrath, che insieme hanno approntato una lista dei nomi assunti dai monaci al momento del loro ingresso in monastero nei secoli IX-XII. Indagando le principali caratteristiche di questo fenomeno, che si attesta pienamente solo durante il secolo IX, si osservano i legami fra questa abitudine e i modelli di santità più amati in ciascun periodo.  Mentre infatti gli Studiti adottano un’ampia gamma di nomi desunti da oscuri eroi delle prima era cristiana, nei secoli successivi tali nomi tendono a cadere in disuso a favore di nuovi nomi che divengono popolari. Oltre all’onomastica, altri metodi di indagine possono tentarsi anche in relazione allo studio dell’economia dei monasteri, che si basa principalmente sui documenti d’archivio, sulle carte di fondazione e sui documenti della pratica. M. Kaplan tenta un approccio integrato fra questi tipi di fonti attraverso alcuni esempi illustri, come la Grande Lavra, osservando l’evoluzione sempre crescente degli interesse economici del monastero anche attraverso un genere apparentemente estraneo a tali preoccupazioni, l’agiografia.

A tutta una serie di problematiche poco indagate è dedicata la seconda parte del volume, che si concentra su un periodo ancora pressoché poco conosciuto quale la seconda fase iconoclasta. Molte tematiche relative agli anni che vanno dall’815 all’843 restano infatti ancora da approfondire, anche perché le fonti per questo periodo provengono quasi tutte dai vincitori iconoduli, i quali insistono con vigore sul senso di totale cesura seguente al trionfo dell’ortodossia. A uno sguardo più attento sulle testimonianze invece, tale senso di rottura risulterà molto meno netta di quanto gli autori iconoduli vorrebbero: mentre, ad esempio, nella rappresentazione figurativa la continuità è un tratto dominante, nella scrittura e nella fabbricazione dei tessuti si riscontrano le maggiori novità  (L. Brubaker). L’altro grande luogo comune di questo periodo, incentrato sul fatto che i monaci siano stati i grandi vincitori dell’843, ha condotto inoltre a ignorare il contributo dato dai vescovi alla disputa. Se da un lato infatti nella seconda metà del secolo IX fiorisce l’agiografia monastica, è anche vero che per lo stesso periodo l’agiografia vescovile subisce un incremento notevole che non aveva più conosciuto fin dalla tarda antichità. Nonostante l’opera instancabile di Teodoro Studita a favore delle immagini, furono infatti per lo più i vescovi, e non i monaci, ad animare la timida resistenza alle decisioni imperiali contro le immagini (M. Kaplan). Delle dispute fra fazioni monastiche e della linea politica talvolta opposta fra patriarcato e monaci testimonia l’archivio patriarcale trasferito a Studios, cosicché i monaci studiti non esiteranno a servirsi di questi documenti, rimasti invece inaccessibili ad altri scrittori, tra cui lo stesso patriarca Fozio (D. Afigenov). E se è vero che l’episodio iconoclasta rimane pur sempre determinante nello sviluppo delle pratiche e delle concezioni religiose, come testimoniano le tipologie di miracoli nell’agiografia e nell’innografia (S. Efthymiadis), è anche vero che, a controbilanciare la propaganda iconodula, rimaneva la letteratura apocalittica, che ricordava l’incertezza e i timori di un tempo in cui la minaccia araba era all’apice nella conquista del Mediterraneo (P. Ubierna).