Sveti Efrem Sirin i srpska crkvena književnost

Ultimo aggiornamento: 11 May 2021

Bojovic, D.

Sveti Efrem Sirin i srpska crkvena književnost

Centar za crkvene studije Niš - Kosovska Mitrovica 2003

Scheda a cura di: Bojovic D.

pp. 247


L’autore del presente volume, docente all’Università di Priština (con sede attuale a Kosovska Mitrovica) e direttore del Centro di studi religiosi di Niš, a partire dai primi anni ’90 ha pubblicato alcune monografie dedicate alla letteratura antico-serba, tra cui Kraj veka vec dode (antologia di poesia antica, Priština 1992) e Pesnik buduceg veka (sull’opera poetica di Demetrio Cantacuzeno, Priština 19951), oltre a vari articoli sulla stessa tematica, comparsi su riviste come “Baština” e “Universitetska Misao” e in miscellanee (si veda il contributo dedicato alla Parenesi nel recente volume curato da L. Taseva, Prevodite prez XIV stoletie na Balkanite, Sofija 2004, recensito in queste pagine).
In Sveti Efrem Sirin i srpska crkvena knježevnost, Bojovic analizza anzitutto gli studi dedicati all’influsso della letteratura bizantina sulla produzione letteraria serba medievale, campo di ricerca impostosi negli ultimi decenni e i cui inizi possono essere fatti coincidere con la tesi di dottorato – ancora oggi fondamentale – di D. Bogdanovic, Joan Lestvicnik u vizantijskoj i staroj srpskoj književnosti (Beograd 1965, pubblicata nel 1968). Studiare l’opera di Efrem Siro alla luce di questa problematica non è semplice, dal momento che fu originariamente composta in siriaco e non di rado presenta seri dubbi di autenticità; se paragonato all’opera di Giovanni Climaco, inoltre, il corpus efremiano è molto più ampio. Per questi motivi i lavori dedicati a Efrem Siro non sono molti (almeno in àmbito serbo) e si occupano pressoché esclusivamente di questioni teologiche. Questo è abbastanza singolare, dato che “la tradizione manoscritta serba mostra che S. Efrem, a fianco di Giovanni Crisostomo, Teodoro Studita, Giovanni Climaco e altri, fu tra i padri più letti nella liturgia” (p. 146)
Il primo capitolo (Da Nisibi a Edessa) presenta brevemente la biografia di Efrem, cercan do di separare gli elementi propriamente storici dai motivi leggendari, come la fondazione della scuola di Nisibi (verosimilmente, Efrem svolse in questo caso soltanto un’attività riorganiz zatrice, p. 14) e la partenza per l’Egitto e Cesarea di Cappadocia (ritenuta leggendaria da molti studiosi, p. 18). La data stessa della morte di Efrem dà adito a qualche dubbio (p. 21).
Il capitolo seguente (Un classico della letteratura cristiana) descrive anzitutto le caratteristiche letterarie dell’opera di Efrem, dal carattere sostanzialmente lirico-emozionale (condizionata in ciò dall’ambiente siriaco, p. 24), che la rende profondamente diversa dalla produzione retorico-filosofica di altri padri della chiesa (in particolare i cappadoci); anche dal punto di vista teologico l’opera di Efrem si presenta come un insieme strutturato e dall’individualità ben definita (p. 23). Si passano in rassegna i vari scritti, partendo da quelli di carattere esegetico, dogmatico-polemico, ascetico-morale e finendo con le preghiere. Il problema dell’autenticità è affrontato in un paragrafo apposito (pp. 27-33). Sulla base degli studi di D. Iliadu, le opere di Efrem vengono suddivise in 3 gruppi: gruppo ‘pre-iconoclastico’ (o ‘siro-palestinese’, 8 scritti); gruppo testimoniato dalla Biblioteca di Fozio (49 scritti); gruppo ‘post-iconoclastico’ (o ‘bizan tino’) “che amplia i primi due gruppi, aggiungendovi scritti di vario genere e provenienza” (p. 29). A p. 30 si fornisce un elenco delle opere autentiche e di quelle dubbie. Anche nella Parenesi slava si trovano componimenti che vengono talvolta indicati come apocrifi (p. 31); particolarmente dubbia è l’autenticità della Vita di Abramo e di sua nipote Maria (XLVIII) e del sermone Sul pane e la comunione (LXXXI). Si rileva come le opere conservate nella tradizione slava riflettano “una versione antica e conservativa del testo, che può essere confrontata con i mss. greci del X sec.” (p. 33)
Dal punto di vista stilistico, le poesie di Efrem Siro sono suddivise in memre (mimre,‘discorsi’) e madraše (madhrashe, ‘odi’ destinate al canto corale e suddivise in strofe); questo gene re fu portato alla perfezione da Efrem, tanto che, secondo Averincev, i suoi componimenti servirono da modello per il kontakion bizantino (p. 34). Bojovic analizza la metrica e il verso di questi componimenti, fino a individuare uno “stile di Efrem” ben definito.
Il terzo capitolo (Edizioni e traduzioni) ripercorre la storia delle edizioni a stampa dell’opera di Efrem Siro, a partire da quelle di Vossius (Roma 1589-1598) e di Assemani (Roma 1732-1746). Si lamenta il fatto che la Parenesi a tutt’oggi non abbia ancora ricevuto un’edizione critica, non solo per quanto concerne il testo slavo, ma persino per quello greco (p. 38).
Con il capitolo successivo (Apologeta, poeta, predicatore) siamo messi a conoscenza della dottrina teologica di Efrem, che naturalmente non presenta il sapore intellettualistico tipico della scuola alessandrina, ma “lo specifico intimismo, il calore artistico e la comunicatività teo logica della scuola di Antiochia, alla quale – rigorosamente parlando – Efrem non apparteneva” (p. 41). Si analizzano quindi la cristologia di Efrem (con particolare riferimento al simbolo della fede e alla polemica contro la gnosi, pp. 45sg) e la concezione antropologica (dove la tripartizione dell’uomo in spirito/intelletto, anima e corpo vede un significativo innalzamento dell’elemento corporeo ai fini della glorificazione di Dio, p. 49; l’antropologia sociale non è sviluppata come in Giovanni Crisostomo, p. 51); in seguito si analizzano il dogma trinitario e l’escatologia; quest’ultimo ambito è molto importante poiché nel gruppo di testi escatologici “si avverte maggiormente l’influsso sulla letteratura ecclesiastica serba” (p. 53).
Con il quinto capitolo (La ricezione della letteratura patristica) l’interesse per gli studi di slavistica si fa più diretto: “oggigiorno è impensabile studiare i vari aspetti della letteratura ecclesiastica serba senza considerare l’influenza della letteratura bizantina” (p. 69). L’opera di Efrem fu tra le prime ad essere tradotte in ambito slavo: la traduzione della Parenesi risale al IX-X secolo. La Serbia, all’epoca di re Milutin (1282-1321), conobbe un grande impulso alla traduzione di opere bizantine (anche di quelle già disponibili in slavo), nel monastero di Chilendar, ma anche a Pec, Decani e in centri minori. Più tardi, al tempo di Stefan Decanski e dello zar Dušan, si formarono nuovi centri traduttori sull’Athos, guidati da Isaija (monastero di S. Pantelejmon) e da Antonije (S. Paolo); tra le opere maggiormente tradotte ci furono quelle di Efrem Siro, dei padri cappadoci e soprattutto di Giovanni Crisostomo, oltre a numerosi scritti di carattere mistico (Dionigi Aeropagita, Simeone il Nuovo Teologo e altri) e teologico (Cirillo di Alessandria, Giovanni Damasceno, Gregorio Palamas e altri). La Parenesi di Efrem compare abbastanza spesso a fianco delle opere di carattere ascetico. Si analizzano raccolte come il Margarit e l’Izmagard, le raccolte di sermoni di Gregorio Teologo, l’Esamerone di Gregorio di Nissa, il Corpus dello pseudo-Dionisio Aeropagita (la cui traduzione, preceduta in Europa solo da quella latina, conferma “la complessità e il talento della vita spirituale nella Serbia della seconda metà del XIV sec.”; p. 73). Per finire si osserva il contributo alla ricezione della letteratura patristica ad opera di S. Sava, di Danilo II e dell’allievo di questi G. Camblak (pp. 76-79). “Ultimo grande conoscitore della letteratura bizantina” è definito il poeta Demetrio Cantacuzeno, con il quale “si può liberamente affermare che la ricezione della letteratura bizantina raggiunge l’apice”; la sua opera influirà profondamente sul patriarca serbo Pajsij.
Giungiamo così al capitolo centrale dell’intero volume, dedicato alla Parenesi. L’autore dedica molta attenzione alla tradizione testuale slava di questa raccolta, cercando gli elementi che distinguono la redazione serba (una ventina di mss.) dalla prima traduzione. Alla base della raccolta stanno gli ‘insegnamenti ai monaci egiziani’, assieme ad altri scritti di Efrem; il numero complessivo di sermoni non è stabile, ma varia a seconda del ms. Stando alle ricerche di I. Ogren, il codice greco contenente la redazione più simile alla versione slava è il Vat. Gr. 440 (che ha caratteristiche arcaiche, mentre i codici utilizzati nell’edizione di Assemani riflettono un testo più recente; va anche ricordato, sulla scia di F. Thomson, che mentre il testo greco è andato soggetto nel tempo a varie modificazioni, le traduzioni latina e slava presentano una maggiore stabilità, p. 82). 
Finora, i frammenti della Parenesi contenuti nei fogli glagolitici di Rila (RGL) hanno occu pato un posto relativamente isolato nella tradizione, dal momento che si disponeva soltanto di un ms. dal testo “simile” (NBKM 298). La maggior parte degli studiosi, in base ad argomenti filologici e codicologici, riferisce la prima traduzione slava all’epoca di Simeone (cfr. RGL); stando a Ch. Kodov, a questa sarebbe seguita una nuova traduzione nel XIII secolo (p. 85). È I. Gošev a indicare il ms. di red. serba NBKM 298 come il testimone più vicino ai RGL; secondo Bojovic, “non si può escludere la possibilità che i RGL siano stati scritti in territorio serbo al tempo della formazione di questa redazione [la redazione serba dello slavo-ecclesiastico]” (p. 9, cf. 108). La Parenesi di Lesnovo (Lesnovskij Parenesis, NBKM 151) mostre rebbe, a detta di Thomson, un testo tardivo e rimaneggiato; la Ogren, tuttavia, rileva come anche NBKM 298, che pure assomiglia molto ai RGL, contenga numerose innovazioni sintattiche e lessicali. Bojovic si cimenta con il problema, confrontando il secondo foglio dei RGL (contenente la fine del sermone LXXIX e l’inizio dell’LXXX) con i mss. Hil. 397, NBKM 298, NBKM 151, SANU 60 e Mih. III?12 (la sinossi delle varianti alle pp. 87-102 è però maldestramente disposta con le prime tre colonne sulla pagina dispari e le altre tre nella pari successiva, il che rende necessario voltare continuamente pagina!). Il testo di Hil. 397 (terzo quarto del XIV sec.), conclude lo studioso, è “il solo identico ai RGL” (p. 86), sia dal punto di vista testuale, sia da quello morfologico e lessicale (p. 103). Hil. 397, che pure segue l’ortografia della raška škola (con unificazione delle semivocali e denasalizzazione), presenta anche caratteristiche ortografiche arcaiche, che dimostrerebbero la derivazione da “un proto grafo glagolitico o cirillico molto antico” (p. 105). Azzardata mi pare l’affermazione secondo cui “la Parenesi contenuta nel ms. Hil. 397, verosimilmente, non fu trascritta a Hilendar, dal momento che questo monastero possedeva già agli inizi del XIV secolo una copia differente della Parenesi (Hil. 384) ed è inverosimile che nel terzo quarto del secolo si sia andati a cercare un altro protografo” (p. 107). Questo è precisamente quello che ci aspetteremmo se la nuova versione doveva sostituire la precedente: in tal caso cercare un altro originale sarebbe stata l’unica soluzione possibile!
L’autore elenca di seguito i 21 testimoni contenenti la redazione serba della Parenesi (pp. 109-111), a cui si aggiungono un cod. di redazione macedone e uno bulgaro.
Alle pagg. 112-119 si fornisce l’incipitario completo della Parenesi (108 sermoni), seguito da tabelle che permettono di ricostruire il contenuto di ogni singolo ms. (pp. 120-133). Sulla base dell’ordine dei sermoni, i mss. sono divisi in quattro gruppi (I-IV). Fino al sermone XLVIII la maggioranza dei mss. non mostra variazioni di rilievo; la descrizione delle carat teristiche dei quattro gruppi occupa le pagine 134-137. In seguito si considera la traduzione di Antonije Bagaš, effettuata sull’Athos nella seconda metà del XIV sec. e pervenutaci in una copia del 1462 (oggi conservata all’Accademia delle Scienze di Romania, RA 137), trascritta integralmente (inclusa la nota manoscritta del traduttore) dal monaco Atanasije; che si tratti di una traduzione approntata ex novo (cfr. p. 85) appare evidente appena si osserva la tabella alle pp. 141-142, che confronta gli incipit (purtroppo di 9 sermoni soltanto) presenti in NBKM 298 e RA 137. Per finire si analizza la presenza di sermoni dalla Parenesi in raccolte di vario genere; i testi della seconda parte (a partire dal sermone LI) godettero di popolarità molto maggiore rispetto a quelli della prima parte (p. 142)
Il settimo capitolo riguarda le Preghiere penitenziali (molitve placevne), un ciclo di preghiere settimanali selezionate dal monaco Thekaras (nato a Salonicco alla fine del XIII sec.; il ms. greco più antico contenente il ciclo è del 1341; le copie più antiche slave sono del XVI sec.), che ricade nel corpus efremiano slavo. In realtà, anche se molti testi si devono a Efrem, si utilizzano anche preghiere bibliche. Secondo alcuni il traduttore di questo ciclo potrebbe essere stato lo stesso Demetrio Cantacuzeno (come risulterebbe da una nota apposta al ms. Hil. 364). I testimoni delle preghiere (20 mss.) sono elencati alle pp. 151-152.
L’ottavo capitolo (La ricezione dell’opera di Efrem Siro nella letteratura religiosa serba) pone nuovamente l’accento sulla maggior diffusione delle opere escatologiche rispetto a quelle dogmatiche, sorte nel contesto specifico della lotta alle eresie. Fattori più propriamente metrico-stilistici ebbero grande influenza sulla poesia del Monaco Jefrem e di Demetrio Cantacuzeno, ma diedero frutti anche al di fuori della lirica propriamente detta. A p. 157 Bojovic distingue tre livelli di ricezione: 1. citazioni letterali; 2. parafrasi del pensiero di Efrem; 3. un non meglio precisato “accoglimento dello spirito di Efrem”; proprio quest’ultima “ramificazione letteraria” di Efrem risulterebbe “dominante nella letteratura religiosa serba”. Seguono pagine fitte di citazioni (in trad. moderna) volte a rilevare le “influenze escatologiche” (pp. 158-178) e la “ricezione della coscienza della fugacità della vita” (pp. 178-186) e dei motivi penitenziali (pp. 186-195). Infine (pp. 195-201) si cercano le tracce di quell’“estetica interiore (estetica dell’ascetismo, estetica etica) che si formò proprio nel IV sec. in opposizione [nasuprot] all’estetica e alle posizioni del cristianesimo ufficiale e che è tipica anche dell’opera di S. Efrem”; infatti, a detta di Bojovic, “queste preoccupazioni estetiche si riflettono anche nella letteratura religiosa serba” (p. 195). In tutti questi casi i motivi efremiani sono confrontati con le opere di D. Cantacuzeno, Vladisav Gramatik, del monaco Jefrem e di altri autori della tradizione serba.
Un capitolo (S. Efrem Siro nella pittura religiosa serba) è dedicato agli aspetti iconografici; si individuano due fasi nella storia delle raffigurazioni del santo (prima e dopo il XII secolo), i cui particolari sono discussi a p. 203. Dopo un’attenta analisi, si conclude che, nei suoi tratti fondamentali, “il ritratto di S. Efrem Siro accolto nella pittura serba fu quello tradizionale bizantino” (p. 208). Alcune pagine (pp. 208-215) sono dedicate al tema del giudizio universale, per raffigurare il quale è molto verosimile (pur nella difficoltà di dimostrarlo, p. 215) che gli artisti ricorressero anche agli scritti di Efrem.
Chiude il volume il capitolo Il millennio dell’Efrem serbo, dove, prima di sottolineare nuovamente l’importanza dell’opera di Efrem per la formazione di chierici e letterati nella Serbia medievale (pp. 220-221), si rileva (p. 218) come ormai si possa parlare con sicurezza di tre traduzioni indipendenti della Parenesi: una testimoniata dai RGL (della quale non si può dire con certezza se fosse completa o riguardasse solo qualche sermone), la seconda “molto verosimilmente” risalente al XIII secolo e la terza alla fine del XIV (la trad. atonita di Antonije Bagaš). Ma le varianti contenute in un codice serbo (?, cfr. N° 20 a p. 110, fine XVI - inizio XVII sec.) e in alcuni codd. russi (XIV sec.) permettono di postulare un’ulteriore traduzione (cfr. anche p. 137). Comunque, “uno dei risultati più significativi di queste ricerche è la scoperta di un ms. cirillico identico ai RGL [...]. Gli studi e le eventuali edizioni future della Parenesi slava non potranno prescindere dal ms. serbo Hil. [397], che dovrà servire da base per l’edizione, dal momento che conserva maggiormente, spesso letteralmente, gli arcaismi del testo glagolitico” (pp. 218-219). 
In conclusione un buon volume, senz’altro utile per avere un quadro della tradizione della Parenesi, perlomeno in àmbitoserbo e, più in generale, slavo-meridionale (qualche accenno in più alla tradizione russa avrebbe forse giovato; singoli testi sono infatti contenuti in codici anche molto antichi come l’Uspenskij sbornik [GIM, Sin. 1063/4], dove compare il XLVIIIsermone Su Abramo). La bibliografia è piuttosto ricca (273 titoli) e, oltre agli studi in serbo-croato, comprende monografie e articoli in russo, bulgaro, rumeno, francese, tedesco, inglese e greco. Senz’altro meno apprezzabile il colofone in stile medievaleggiante posto a fine volume, in cui il “servo di Dio Dragiša” ricorda i tempi in cui fu concepito il lavoro, “quando eravamo oppressi dai maledetti albanesi” (p. 239). Il volume risale al 2003, ma in Kosovo il ‘politically correct’ non è certo all’ordine del giorno neppure oggi.